Saturday, October 20, 2012

Meccanica Quantistica e Meccanica Stocastica

N.B.: Per la comprensione di questo post è consigliata la lettura del post sul moto browniano che puoi trovare a questo link alla voce "che cos'è il moto browniano?".


"Costruire" la Meccanica Quantistica.

La storia della meccanica quantistica è ricca di importanti controversie e di interessanti paradossi, incentrati principalmente sul problema della misura. Approssimativamente parlando, le controversie si suddividono in due classi. Alla prima appartiene la controversia sorta tra coloro che erano d'accordo o in disaccordo con l'interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica. La tipica e più famosa polemica di questo genere fu quella tra A. Einstein e N. Bohr. La seconda si interessa del problema se la “riduzione del pacchetto d'onde” causata dalla misura possa essere o no essere descritta dalla meccanica quantistica stessa. Einstein presentò con B. Podolsky e N. Rosen un paradosso, il famoso paradosso EPR che mette in luce il fatto che la meccanica quantistica a causa del collasso della funzione d'onda contiene una correlazione a distanza non locale "assurda". La misura su un sistema I (si parte da un sistema che viene poi separato in due sottosistemi I e II) non perturba mai II (in quanto II è lontano da I), cosicché si possono ottenere informazioni su II senza alcun tipo di perturbazione. Il paradosso EPR vale nell'ipotesi che le misure su I non disturbino affatto II, posto lontano da I. Bohr affermava, tuttavia, che l'ipotesi non era valida, in quanto un sistema correlato non deve essere considerato separabile, e quindi una misura su I deve agire sull'intero sistema, compreso II. Questo carattere della meccanica quantistica è chiamato “non-separabilità”. La non-separabilità o la correlazione non-locale a lunga distanza appare sempre, dovunque la meccanica quantistica manifesti il suo carattere essenziale. É assai difficile capire, dal nostro punto di vista abituale o dal punto di vista classico, un tale carattere della meccanica quantistica.



Albert Einstein e Niels Bohr
In anni recenti, via via che si raddoppiavano gli sforzi per comprendere fino a fondo la teoria quantistica, un numero crescente di fisici ha cominciato a rivalutare la posizione di Einstein. “Quell'uomo vide i problemi centrali della meccanica quantistica più in profondità e più rapidamente di quanto si tenda a riconoscere”, afferma Christopher Fuchs, dei Bell Labs. Alcuni concordano addirittura con Einstein sul fatto che i quanti finiranno per essere sostituiti da una teoria più fondamentale. “Non dobbiamo dare per scontato che la meccanica quantistica rimanga inalterata”, dice Raphael Bousso dell'università della California a Berkeley. Un'affermazione grave se si considera che la meccanica quantistica è il quadro teorico di maggior successo di tutta la storia della scienza, che ha soppiantato tutte le teorie classiche che l'hanno preceduta, fatta eccezione per la relatività generale. Einstein fu il primo a capire che la meccanica quantistica è incompleta. La reazione più ovvia a una teoria incompleta è il tentativo di completarla. Fin dagli anni Venti del XX secolo, molti ricercatori hanno proposto di arricchire la meccanica quantistica con “variabili nascoste”. L'idea è che la meccanica quantistica derivi dalla meccanica classica, invece del contrario. Le particelle hanno posizioni e velocità definite e obbediscono alle leggi di Newton (o alla loro estensione relativistica). Esse sembrano comportarsi in modi quantisticamente eccentrici solo perché non vediamo, o non possiamo vedere, l'ordine soggiacente. “In questi modelli, la causalità della meccanica quantistica è come il lancio di una monetina”, osserva Carsten van de Bruk dell'Università di Sheffield. “Sembra casuale, me non lo è veramente. In effetti lo si potrebbe descrivere con un equazione deterministica.” (si veda questo articolo)

Un'analogia è quella con il moto browniano. Il moto ondeggiante delle particelle di polline o polvere sembra casuale, ma, come ha dimostrato proprio Einstein, è causato da molecole invisibili che seguono la fisica classica. In effetti l'analogia è sorprendentemente stretta. Le equazioni della meccanica quantistica hanno una strana somiglianza con quelle della teoria cinetica delle molecole, e più in generale della meccanica statistica. In alcune formulazioni, la costante di Planck, il parametro di base della teoria quantistica, assume il ruolo matematico della temperatura. È come se la meccanica quantistica descrivesse qualche tipo di insieme di “molecole”. 

Quando i fisici si confrontano con una speculazione di questo genere molto prima di saperne abbastanza da poterla verificare empiricamente, si lasciano guidare da un criterio pragmatico: è un'idea intellettualmente fertile? La teoria delle stringhe, per esempio, ha generato uno stuolo di nuovi principi fisici, oltre che intere discipline matematiche, per cui, anche se dovesse fallire sperimentalmente, non sarebbe stata inutile. Applicando questo criterio, la maggioranza dei fisici ha respinto le variabili nascoste molto tempo fa. Le teorie che includevano variabili nascoste, non prevedevano infatti fenomeni nuovi, non facevano luce su principi inattaccabili e non potevano riprodurre la meccanica quantistica senza ricorrere proprio a quei trucchi che avrebbero dovuto evitare, come l'azione a distanza. Lo stesso Einstein si occupò delle variabili nascoste prima di decidere che erano “meschine”. Egli concluse che la meccanica quantistica non poteva essere completata con l'innesto di elementi classici ma che sarebbe dovuta emergere da un ripensamento radicale della fisica fondamentale. 

Negli ultimi anni però, le variabili nascoste sono riemerse dall'oblio, anche se in una veste nuova. L'idea di fondo è quella di sostituire o di riformulare la meccanica quantistica mediante una dinamica stocastica classica. Il primo tentativo si basava su un'analogia formale tra una particella quanto-meccanica libera ed una particella classica in moto browniano. Una particella quantomeccanica libera è descritta da una funzione d'onda, Ψ, che obbedisce all'equazione di Schrödinger \[\frac{\partial\psi}{\partial(it)}=\frac{\hbar}{2m}\nabla^{2}\psi\label{eq:10}\]
dove h e m sono, rispettivamente, la costante di Planck e la massa della particella (h con una sbarra viene chiamata "h tagliato" ed è semplicemente h/2π). Sostituendo nell'equazione di Schrödinger, t con -it e \[\frac{\hbar}{2m}\] con D (costante di diffusione), otteniamo un'equazione di diffusione
\[\frac{\partial\psi}{\partial t}=D\nabla^{2}\psi\]
che descrive il moto browniano. É facile vedere che anche le relazioni di indeterminazione sono mutuamente trasformate dalla precedente sostituzione in entrambe le teorie \[\Delta x\Delta p\approx\hbar\;\Leftrightarrow\Delta x\Delta v\approx D\] essendo p e v rispettivamente il momento e la velocità della particella. L'analogia formale sembra suggerire l'idea ingenua che fluttuazioni quantistiche si originano in moti casuali classici causati dalle interazioni con un “etere” sconosciuto che circonda le particelle reali.

Erwin Schrödinger
Questa è ancora un'idea fondamentale della teoria delle “variabili nascoste”. Infatti ci sono stati diversi tentativi preliminari, includendo uno stimolante lavoro dello stesso E. Schrödinger, secondo questa linea di pensiero. Tuttavia, il teorema formulato da J. von Neumann ostacolò fortemente lo sviluppo della teoria delle variabili nascoste. Il teorema era basato su ipotesi troppo matematiche, alcune delle quali possono non essere necessarie dal punto di vista fisico. Facendo breccia nella barriera creata da von Neumann, D. Bohm riuscì a costruire una teoria a variabili nascoste sulla base di un'“equazione di Newton” classica, ricavata dall'equazione di Schrödinger. L'“equazione di Newton” ha esattamente la stessa forma di quella della meccanica classica, tranne per il fatto che contiene oltre la forza ordinaria anche la forza quanto-meccanica. Si ritiene che la forza quantomeccanica rappresenti una forza casuale classica radicata nel precedente ipotetico “etere”, che non si può osservare esplicitamente. Ma le teorie dinamico-stocastiche, di cui ho già accennato, si differenziano leggermente dalla teoria delle variabili nascoste sviluppata da Bohm, ne è un esempio la meccanica stocastica sviluppata da E. Nelson che mi desidero illustrare in questa relazione. Prima però sarà necessario introdurre brevemente i concetti che stanno alla base di questa teoria quali appunto i processi stocastici, il moto browniano come caso particolare dei processi di Wiener e descrivere brevemente le proprietà salienti, per poi addentrarci nella descrizione vera e propria della meccanica stocastica che provvederà ad una descrizione della meccanica quantistica nella quale il carattere indeterministico non è causato dal processo di misurazione ma  dal comportamento stesso dell'equazione differenziale che descrive il percorso seguito dalla particella, questi percorsi sono irregolari e soprattutto come vedremo più avanti non sono differenziabili.

Processi di Wiener e cammini di Feynman

Sebbene molti studi sulla natura fisico-matematica del moto browniano fossero stati effettuati prima del 1923, in particolare da Einstein, M. Smoluchoswski, P. Langevin, J. Perrin e altri, la formulazione matematica completa di quella che oggi è nota come teoria del moto browniano fu presentata da N. Wiener, nel suo ormai famoso lavoro sugli spazi differenziali. Per questo nella letteratura matematica spesso ci si riferisce al moto browniano con il nome di “processo di Wiener”. In quegli anni, Wiener sviluppò un'interpretazione del moto browniano come “somma su tutti i cammini”, che descriverò qualitativamente. Consideriamo una particella che subisca una serie di spostamenti, tali che l'entità e la direzione di ciascuno di essi sia indipendente dagli spostamenti precedenti. Ora, la probabilità che lo spostamento della particella browniana avvenga tra i due punti a_{1} e b_{1} è determinata da una funzione di distribuzione che, se la particella ha un moto simile al cammino di un ubriaco, risulta essere proprio la soluzione dell'equazione di diffusione derivata da Einstein. Il problema è determinare qual è la probabilità che dopo n spostamenti, la particella venga a trovarsi nella zona fra a_{n} e b_{n}. Così, la probabilità dipende da un gran numero di altre grandezze aventi distribuzioni preassegnate entro un intervallo di valori. Il problema che ci troviamo di fronte è analogo a quello di uno sciatore che debba affrontare un percorso di slalom (si veda la figura 1). La probabilità che l'atleta passi attraverso una porta-ostacolo è data dal prodotto della larghezza della porta per la densità di probabilità, fattore che tiene conto sia della mobilità dello sciatore, sia dalla distanza fra due porte successive, sia ancora del tempo impiegato dallo sciatore per passare da una porta alla successiva. Se ora osserviamo l'atleta passare attraverso una data porta in un certo istante, potremmo desiderare di conoscere qual è la probabilità che egli passi attraverso un successivo ostacolo dopo un certo lasso di tempo. Se tale intervallo è grande, il fatto che lo sciatore passi o meno attraverso la porta non dovrebbe dipendere dal fatto che noi lo abbiamo visto passare per un'altra porta in un istante precedente. La probabilità sarà allora il prodotto della probabilità individuali e possiamo immaginare che, aumentando il numero di osservazioni sullo sciatore (cioè aumentando il numero degli ostacoli sul suo percorso) e rendendo sempre più piccola la larghezza di ciascuna porta, saremo capaci di localizzare la traiettoria con sempre maggiore precisione.

Figura 1: Lo slalom illustra il modo di Wiener di trattare il moto browniano come “somma su tutti i cammini”. Sapendo che lo sciatore parte da O e arriva a N, la probabilità che esso passi attraverso ciascuna delle porte, negli istanti di tempo associati, è data dall'integrale multiplo riportato in basso a destra nell'illustrazione, in cui \rho è la densità di probabilità visualizzata nell'illustrazione precedente (cioè la distribuzione trovata da Einstein). É abbastanza intuitivo che, se aumentassimo il numero di ostacoli e se avvicinassimo sempre più i paletti delle porte fra loro, potremmo tracciare il cammino dello sciatore sempre con maggiore precisione. Andando al limite, otterremo una misura nello “spazio dei cammini” nota come misura condizionale di Wiener, condizionata dalla nostra conoscenza del fatto che lo sciatore è partito da O ed è arrivato a N.

La difficoltà risiede nell'andare al limite di osservazioni infinitamente frequenti, e tale è appunto il problema risolto da Wiener. L'indipendenza statistica tra gli eventi può essere rigorosamente mantenuta anche nel caso limite di piccoli intervalli di tempo? Al limiti di intervalli infinitamente piccoli e di ostacoli infinitamente stretti, otteniamo quella che i matematici conoscono come “misura” di Wiener. La misura è proprio il numero che otteniamo facendo il prodotto delle varie probabilità individuali per ogni singolo evento. In più, quando non è richiesta la conoscenza del passaggio dello sciatore attraverso una qualsiasi porta-ostacolo, dobbiamo sommare la probabilità su tutti i punti attraverso i quali lo sciatore potrebbe essere passato. Possiamo ora collegare il problema degli ostacoli dello slalom alla teoria delle misure, sia nella teoria classica, sia in quella quantistica. In entrambe queste teorie il concetto di probabilità di ottenere un dato risultato in un esperimento è fondamentale. Le nozioni probabilistiche entrano nella fisica classica a causa della impossibilità di conoscere posizione e velocità di particelle in un sistema macroscopico nel quale la popolazione sia dello stesso ordine di grandezza del numero di Avogadro. Anche se potessimo seguire ciascuna particella singolarmente, le nostre misure eseguite con strumenti macroscopici, pur non introducendo perturbazioni nel moto delle singole particelle (anche se questo non è del tutto vero: si pensi ad una misura di temperatura) potrebbero non rispecchiare il comportamento medio delle singole particelle. In meccanica quantistica, le considerazioni probabilistiche entrano per un'altra ragione: in questo caso abbiamo a che fare con una proprietà intrinseca del sistema microscopico. Infatti l'oggetto quantistico è descritto da una funzione complessa chiamata funzione d'onda, l'evoluzione di quest'ultima è descritta da l'equazione di Schrödinger ed è deterministica (conosciuta la funzione d'onda ad un dato istante di tempo è possibile determinare lo stato ad un generico istante t) ma il processo di misura introduce un carattere fortemente probabilistico in quanto l'esito della misura non è deterministico (si parla infatti di “collasso della funzione d'onda”); ciò nonostante siccome la teoria quantistica descrivere i sistemi come una sovrapposizione di stati diversi, prevede che il risultato di una misurazione non sia completamente arbitrario, ma sia incluso in un insieme di possibili valori: ciascuno di questi valori è abbinato a uno di tali stati ed è associato a una certa probabilità di presentarsi a seguito della misurazione. Questa condizione di incertezza o indeterminazione non è dovuta a una conoscenza incompleta, da parte dello sperimentatore, dello stato in cui si trova il sistema fisico osservato, ma è da considerarsi una caratteristica intrinseca, quindi ultima e ineliminabile, del sistema e del mondo subatomico in generale. Ritornerò su questo aspetto cruciale e parlare delle diverse interpretazioni della meccanica quantistica e in particolare della meccanica stocastica.

Classicamente potremmo chiederci qual è la probabilità P_{ab} che la misura A dia il risultato a e che, nello stesso tempo, la misura B dia il risultato b. In maniera simile, poniamo che P_{bc} sia la probabilità che la misura B dia il risultato b mentre la misura C dia il risultato c; supponiamo inoltre che P_{abc} sia la probabilità relativa al verificarsi di tutti e tre i risultati: cioè A dia a, B dia b e C dia c. Allora, se gli eventi fra b e c sono indipendenti da quelli fra a e b (assumendo che che le misure A, B e C vengono eseguite in successione temporale con lo stesso ordine), la probabilità è semplicemente il prodotto:

\[P_{abc}=P_{ab}\times P_{bc}.\]
Supponiamo ora di non eseguire la misura B; la probabilità che A dia a e che C dia c è proprio:

\[P_{ac}=\mathrm{somma\: su\: tutti\: i\: b\:\left(P_{abc}\right),}\]

questo perché la grandezza b deve necessariamente assumere qualche valore fra le misure A e C. Classicamente questa seconda equazione è corretta, mentre è stato dimostrato che in meccanica quantistica essa è generalmente errata a causa del principio di indeterminazione di Heisenberg.

Classicamente è possibile caratterizzare un cammino con una successione di misure a istanti successivi che ci forniscano una successione di punti. Se eseguiamo un numero sufficientemente alto di misure, possiamo collegare i punti e definire una traiettoria. Sia \[P_{r_{1},\, r_{2},\, r_{3}}\] la probabilità per tale cammino. Se desiderassimo conoscere la probabilità che r_{i} sia fra a_{i} e b_{i} ecc.. dobbiamo sommare (più correttamente integrare) su tutti i possibili valori intermedi. Se usassimo la soluzione dell'equazione di diffusione di Einstein come densità di probabilità, il risultato ottenuto sarebbe la misura di Wiener.


Richard Feynman
Ora, in meccanica quantistica non è possibile seguire un cammino di una particella, perché ogni volta che misuriamo la sua posizione ne disturbiamo il percorso tanto da convertirlo in un altro processo. Feynman fu il primo a capire che se si fossero sostituite le probabilità con le “ampiezze di probabilità”, allora tutte le regole della probabilità classica sarebbero rimaste valide per la meccanica quantistica. Secondo l'interpretazione ortodossa della meccanica quantistica, le ampiezze di probabilità sono grandezze complesse i cui moduli quadrati forniscono le densità di probabilità. Poiché le ampiezze di probabilità stesse non costituiscono grandezze fisicamente osservabili è lecito intenderle quale strumento probabilistico per la descrizione dei cammini delle particelle. Tutto ciò che cambia, passando dalla visione classica di Wiener di una somma su tutti i cammini all'interpretazione di Feynman, sta nel'introduzione di una misura “complessa”. Non abbiamo alcun motivo per opporci a tale assunzione perché i cammini non sono in alcun modo osservabili. Il rigore matematico di tale formulazione è ancora in fase di perfezionamento poiché insorgono problemi di convergenza, e in più non è stata individuata la provenienza del rumore che impedisce una trattazione deterministica della meccanica quantistica.

Approccio formale al processo di Wiener

Analizziamo ora i processi di Wiener in una chiave più formale. L'assunto di base di Einstein è che ciò che segue è possibile: “Abbiamo introdotto un intervallo di tempo τ nella nostra discussione, che è molto piccolo rispetto con l'intervallo di tempo di osservazione (cioè l'intervallo di tempo tra le osservazioni), ma, tuttavia, abbastanza grande che i movimenti eseguiti da una particella in due intervalli consecutivi di tempo τ devono essere considerati come fenomeni reciprocamente indipendenti.” Egli poi considera implicitamente il caso limite di τ che tende a zero. Questa ipotesi è stato criticata da molte persone, tra cui lo stesso Einstein. La derivazione di Einstein delle transizioni di probabilità procede per la manipolazione formale delle serie di potenze. Egli trascurò i termini di ordine superiore che è equivalente alla ipotesi. Nel teorema di seguito, p^{t} può essere pensato come la distribuzione di probabilità al tempo t della coordinata x di una particella browniana che si trova a t=0 in x=0. La dimostrazione è tratta da un documento di Hunt, che ha mostrato che l'analisi di Fourier non è lo strumento naturale per i problemi di questo tipo.

Teorema. Sia dato p^{t}, 0≤ t<∞, una famiglia di misure di probabilità nell'asse reale R tale che


\[p_{*}^{t}p^{s}=p^{t+s}\qquad\quad0\leq t,\: s<\infty,\]


dove * denota l'operazione di convoluzione; per ogni ε>0,

\[p^{t}\left(\left\{ \, x:\,|x|\geq\epsilon\right\} \right)=o\left(t\right),\quad\qquad t\rightarrow0:\] e per ogni t>0, p^{t} è invariante sotto trasformazioni di parità \[x\mapsto-x.\] Allora o \[p^{t}=\delta\] per tutti i t>0 o esiste un D>0 tale che, per tutti i t>0, p^{t} ha la la forma

\[p^{t}=\frac{1}{\sqrt{4\pi Dt}}\, e^{-\frac{x^{2}}{4Dt}},\]cosicché p soddisfa l'equazione di diffusione

\[\frac{\partial p}{\partial t}=D\frac{\partial^{2}p}{\partial x^{2}},\qquad\quad t>0.\]

Le equazioni differenziali stocastiche

Wiener mise in relazione la densità di probabilità con il processo di diffusione di una particella "libera", mentre Feynman diede, in forma assiomatica le regole per il calcolo della densità di ampiezza di probabilità, dimostrando a posteriori che essa soddisfa l'equazione di diffusione più notevole della meccanica quantistica: l'equazione di Schrödinger. Ha senso allora chiedersi a quale processo fisico queste regole formali corrispondano. Per rispondere a questa domanda dobbiamo introdurre una linea di ricerca parallela alla studio della equazioni di diffusione: la teoria delle equazioni differenziali stocastiche. P. Langevin può essere considerato il fondatore di tale formalismo che consente una rappresentazione semplice (sebbene matematicamente complessa) del processo fisico chiamato moto browniano.

Caratteristica di questa interpretazione è il fatto che le equazioni del moto utilizzate dall'analisi dei sistemi fisici sono una riformulazione della legge del moto di Newton \[\boldsymbol{F}=m\cdot\boldsymbol{a},\] con l'eventuale inclusione delle forze di attrito, o dissipative. Sebbene l'applicazione diretta di \[\boldsymbol{F}=m\cdot\boldsymbol{a}\] conduca alle equazioni del secondo ordine, è sempre possibile, mediante l'introduzione di variabili aggiuntive, trasformare queste equazioni in un sistema di equazioni differenziali accoppiate del primo ordine (ma sovente non lineari), aventi la forma:

\[\frac{dx\left(t\right)}{dt}=b\left[x\left(t\right)\right]\]dove x(t) è in generale un vettore di dimensione n>1, detto "stato del sistema" al tempo t. Se si vogliono prendere in considerazione anche fluttuazioni del sistema simili al moto perpetuo delle particelle browniane, mantenute in tale stato dalle collisioni casuali con le molecole più leggere del fluido circostante, occorre aggiungere, come di consueto, una forza casuale o fluttuante al membro di destra di quest'ultima equazione; ciò provoca la conversione del'equazione differenziale deterministica in un'altra, nota come equazione differenziale stocastica (o equazione di Langevin), avente la forma:

\[\frac{dx\left(t\right)}{dt}=b\left[x\left(t\right)\right]+f\left(t\right).\]

Le equazioni differenziali del tipo dell'equazione di Langevin connettono due mondi separati: il mondo macroscopico rappresentato dal "vettore di deriva" b, e il mondo microscopico, rappresentato dalla forza fluttuante f. Nella formulazione originale di Langevin x(t) rappresentava la quantità di moto della particella browniana e \[b\left[x\left(t\right)\right],\] l'attrito dinamico agente sulla particella; la parte fluttuante f(t) caratterizzava il moto browniano. Langevin arguì che tale decomposizione doveva essere valida in quanto il moto ha luogo su due scale di tempo largamente separate fra loro; una corta, secondo la quale varia rapidamente la forza fluttuante (ricordo che una particella subisce normalmente circa 10^{21} collisioni al secondo) e una larga, rispetto alla quale si manifestano gli effetti dell'attrito dinamico.

Risolvere un'equazione differenziale stocastica del tipo di quella di Langevin non è come risolvere un'equazione differenziale ordinaria: infatti l'equazione di Langevin mette in gioco una forza fluttuante f(t) che ha proprietà definite solo statisticamente. In assenza di una conoscenza specifica delle forze casuali, si assume che f(t) sia un cosiddetto processo casuale gaussiano di “rumore bianco”, non entrerò comunque nello specifico di queste questioni.

Implicazioni

Tutto ciò che ho detto riguardo alla teoria di Einstein non le rende completa giustizia. Grazie agli sforzi di Einstein venne alla luce che la meccanica statistica era una teoria con implicazioni sperimentali che non potevano essere spiegate dalla termodinamica classica. La teoria delle fluttuazioni inaugurata dalla teoria di Einstein ha dato frutti che solo di recente cominciano ad essere presi in considerazione dalle scienze fisiche e matematiche. Durante gli ultimi due decenni è stata sviluppata un'intensa ricerca, che nella scienza matematica va sotto il nome di “studio dei processi stocastici di diffusione”. Sono state trovate immediate applicazioni nelle teorie di ottimizzazione dei controlli e del filtraggio dei segnali. Ma applicazioni ancora più ampie alle scienze fisiche hanno portato a dimostrare che la teoria del moto browniano può sia costituire le fondamenta della termodinamica statistica dei processi di non equilibrio sia (anche se meno rigorosamente dal punto di vista matematico) fornire un completamento alla formulazione della meccanica quantistica introdotta da Richard P. Feynman mediante i cosiddetti “integrali di cammino”. Nel seguito, voglio presentare alcune delle nuove e eccitanti prospettive di ricerca che la teoria del moto browniano ha recentemente aperto.

Teoria delle fluttuazioni

A questo punto viene da chiedersi: quale delle due descrizioni, deterministica (equazioni differenziali del primo ordine) o statistica (equazioni differenziali stocastiche di Langevin), si avvicina di più a una descrizione realistica di ciò che accade nei sistemi dinamici? Prendiamo in considerazione, per esempio, la termodinamica classica: essa prevede che le fluttuazioni relative di una variabile termodinamica estensiva siano proporzionali all'inverso della radice quadrata del numero di particelle. Al limite termodinamico, in cui il numero delle particelle e il volume tendono all'infinito in modo tale che il loro rapporto rimanga costante, le fluttuazioni relative tendono a zero, e la distribuzione si raccoglie sempre più attorno al valore atteso, che è quello che la termodinamica prevede essere il valore vero. Ma noi sappiamo che si verificano sempre piccole deviazioni dalle equazioni di stato termodinamiche: se due sistemi sono preparati in modo identico, non è detto che successivamente si comporteranno esattamente allo stesso modo.

É questo che intendiamo quando sosteniamo la necessità di prendere in considerazione le fluttuazioni. La presenza di fluttuazioni termiche introduce un limite superiore alla precisione con la quale è possibile specificare un dato stato macroscopico di un sistema fisico. Agli inizi degli anni cinquanta cominciarono intense ricerche per lo studio delle equazioni differenziali stocastiche del tipo di quella di Langevin; ne è risultato un nuovo tipo di calcolo, che prende il nome dal suo ideatore: Itô. Il calcolo stocastico di K. Itô è basato sull'osservazione che il cammino di una particella browniana è molto irregolare, se osservato con sufficiente dettaglio. (Abbiamo trascurato questo particolare nel formulare l'equazione di Langevin, che rimane comunque formale.) Ne consegue che, nel moto browniano non lo spostamento Δx, ma il suo quadrato Δx^{2} è proporzionale a Δt, il coefficiente di proporzionalità essendo proprio due volte la costante di diffusione, D. In più è noto, fino dal 1933, come ho già accennato nell'introduzione, che il moto browniano dà luogo alla relazione di indeterminazione \[\Delta x^{\,2}\gtrsim\,2D\,\Delta t\] in diretta analogia con la relazione di indeterminazione vigente in meccanica quantistica

\[\Delta x^{\,2}\gtrsim\,\frac{\hbar}{m}\,\Delta t\] in cui m è la massa della particella. Si può quindi osservare che in meccanica quantistica il rapporto \[\frac{\hbar}{2m}\] svolge lo stesso ruolo del coefficiente D nella teoria dei processi stocastici, e il calcolo stocastico può essere applicato alla meccanica quantistica, sebbene non vi sia nessun processo di diffusione reale. La relazione di indeterminazione del moto browniano sta a significare che dobbiamo modificare le usuali regole di differenziazione (o di integrazione). Per ottenere la differenziazione è ora necessario prendere due termini nello sviluppo in serie di Taylor e sostituire il termine quadratico Δx^{2} con il suo valore medio 2D*Δt. La relazione di indeterminazione del moto browniano è una manifestazione delle correlazioni statistiche fra stati di non equilibrio attraverso i quali il sistema passa a istanti di tempo successivi. La presenza di fluttuazioni termiche rende necessaria la transizione verso un'interpretazione probabilistica.

Nel prossimo post ci addentreremo maggiormente nella teoria che prende il nome di meccanica stocastica sviluppata da E. Nelson. Cercherò di introdurla prima in termini matematici. Poi considererò una sua estensione per mostrare che può fornire una soluzione al problema delle “variabili nascoste”







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